mercoledì 11 agosto 2010

Kaji e il suo alter ego reale in: "Filosofia da marciapiede"

Non mi ricordo da chi e dove l'ho sentita, ma le parole "filosofia da marciapiede" mi suonano bene in testa; sarà la scarsa densità della mia materia grigia che favorisce il propagarsi di questi pensieri inconsulti oppure semplicemente la mia sciattaggine intrinseca che mi abbandona in paludi dalle quali mi è sempre più difficile uscire.
Ultimamente vengo sempre più spesso aggredito da una leggera vena di rabbia verso gli opinionisti improvvisati e pidocchiosi, non nel senso riferibile alla statura morale, ma nel senso proprio della dimensione di quello che vanno cercando e scovando all'interno di qualsiasi cosa gli si pari davanti.
Cercano sempre il pidocchietto, l'inezia, il pelo nell'uovo per criticare e tentare di insinuare il dubbio, non tanto sul prodotto dell'intelligenza e della creatività, ma quanto sul suo produttore.
Lo trovo semplicemente disarmante.
Mi sconforta sempre di più l'abuso della parola "comunque" che precludo ogni sorta di discussione costruttiva perché, a prescindere, chi ha la fortuna di riuscire a pronunciarlo per primo, pone immediatamente un limite al suo interlocutore. Non c'è scampo da quella parola.
Diventa impossibile portare avanti un ragionamento. Da lì in poi è il pensiero esposto diventa un diktat invalicabile.
Manca una predisposizione, un ponte che si può stendere tra due persone. Manca l'apertura. Questa è vera filosofia da marciapiede, quella che incontriamo tutti i giorni, di qualunque cosa parliamo. Non appena sento un "comunque" volare mi sale l'orticaria. Preferisco decisamente un "secondo me" è più offerente, espansivo. Offre il nostro punto di vista e lo porge a chi ci ascolta dandoci la possibilità di farci offrire un altro punto di vista un altro "secondo me".
Un altro punto è la predisposizione al "bello".
Manca. Ne sento la mancanza. Avverto a volte di essere circondato da chiusura a questa condizione.
Cosa significa essere predisposti al bello. Secondo me significa creare dentro di noi una sorta di armonia, una sorta di musica interiore che trasporti fuori quello che abbiamo dentro. Non mi riferisco a ben più ragionate filosofie, delle quali sinceramente ignoro tutto, sia orientali che occidentali che antiche e moderne, mi riferisco alla nostra filosofia quella che scriviamo nei nostri pensieri e nelle nostre azioni. A cosa dovrebbe portare questa condizione ?
Secondo me dovrebbe portare alla cecità verso il pelo nell'uovo, verso quel pidocchio fastidioso che ci saltella davanti. Provate a pensarci un attimo, poi a vostro gusto e piacere potete massacrarmi di critiche ma mentre lo fate ricordate due cose: che tutti questi pensieri sono solo secondo me e non comunque.

Al prossimo post.

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